Cultura Marinara

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... guidati dai fari

I consigli per una navigazione sicura fino al Quarnero anche senza GPS


C’è un’isola di fronte a Trieste, anche se tende a passare inosservata. È l’isolotto dello Zucco, dove sorge la stupenda colonna/lanterna disegnata da Matteo Pertsch.

L’isolotto in realtà è poco più che uno scoglio semi-sommerso, su cui già i Romani avevano pensato di collocare un fanale per segnalare l’accesso al porto. In età moderna qualcuno vi aveva eretto una cappelletta dedicata a San Nicolò, poi, sotto Maria Teresa, un potente faro, e infine, nel 1833, l’attuale Lanterna. Era uno dei tre fari voluti dal Governo del Litorale per rendere più sicura la navigazione nei goffi di Venezia e di Trieste. Gli altri due, quello di Salvore e quello di Porer di fronte a Promontore, sono ancora in funzione. La Lanterna di Trieste invece, venuta meno la sua ragion d’essere, ha spento le luci nel 1969.

 

la Lanterna a Trieste
 


La nostra crociera inizia di notte, appena si placa la maretta sollevata dal Maestrale e una brezza fresca inizia a spirare dalle alture del Carso. Moya, il nostro cutter vecchio di un secolo è pesante e massiccio come un peschereccio: sarà un po’ più lento delle barche moderne, forse, ma la sua grande randa aurica lo spinge dritto come su delle rotaie a tre nodi fissi e in cabina neppure ce se ne accorge.

 

il cutetr Moya
 


A bordo vige il divieto dì accendere luci, buone solo ad accecare il tlinoniere facendogli perdere la visione notturna. Anche il GPS è spento: è troppo luminoso, poi la rotta non pone problemi e tanto c’è il faro di Salvore a guidarci. Tre lampi ogni 15 secondi: difficile, anche volendo, sbagliarsi.


Ogni faro ha un nome. Non solo il suo nome geografico, quello che conosciamo tutti, ma un suo nome in codice, una sequenza caratteristica di lampi che ci permette di riconoscerlo nella notte e di non confonderlo con nessun altro. Due lampi ogni dieci secondi: è il Faro della Vittoria a poppa, alto come una stella. 

 

 Un lampo più debole ogni quindici secondi al traverso: il fanale di Punta Gallo a Isola, e così via. Il faro di Salvore è la luce più intensa del circondano: ha una portata di 30 miglia, il che significa che, in una notte serena come questa, lo si perde di vista prima per effetto della curvatura terrestre che per l’affievolirsi della sua luminosità. Il profilo dell’Istria inizia a delinearsi sul fare dell’alba. Una striscia bluastra contro il rosa del cielo, poi altre, più alte e più chiare, in lontananza, come le quinte di un palcoscenico. Sorge il sole, e tutto scompare nella luce da oriente. Ci vorrà qualche ora prima di poter leggere l’andamento della costa nei suoi dettagli. Intanto scorrono a intervalli regolari i campanili delle chiese: San Pellegrino, San Pelagio, Sant’Eufrasia, San Martino, Santa Eufemia, guide delle anime ma anche dei naviganti che li riconoscono a distanza né più né meno che se fossero fari.


Le acque istriane sono violentate dai motoscafi che sfrecciano lungo la costa. Ma appena cala la notte il mare torna ai suoi legittimi proprietari. Moya corre in silenzio, senza sollevare onde e lasciando dietro di sé una scia luminosa. Al largo, improvvisamente uno sciabordio, sempre più forte. Non ne capiamo l’origine, finché una torpedine fosforescente punta contro di noi passando qualche centimetro sotto alla chiglia. Delfini. Decine, venuti a rimpinzarsi di sardelle nell’Alto Adriatico. E a giocare con Moya.

il faro di Porer
 

Le luci dei fari continuano a guidarci, appena una svanisce a poppa un’altra appare a prua, non siamo mai soli. San Giovanni in Pelago, Porer, Sansego. Non ho mai visto un mare così ben segnalato. Sfoglio un vecchio Elenco dei fari, e scopro che il più antico faro austriaco ancora in funzione è quello di Salvore, 1818, architetto Pietro Nobile. Penso allo lonio, dove ancora oggi ci sono, in tratti di mare frequentati, secche rocciose individuabili solo dalla presenza dei gabbiani e, a voite, da un barchino di pescatori. Ma lo lonio non è mai stato austriaco, e questo è uno dei motivi per cui non è possibile, neppure di notte, confonderlo con l’Adriatico.


I segnali dei fari a volte si ripetono e giocano strani scherzi. Una volta, durante una regata, restammo abbonacciati al tramonto presso Sansego. L’isola era la boa attorno a cui bisognava virare prima di puntare verso l’arrivo, a Venezia. Dal tramonto all’alba, l’intera notte per compiere quel periplo di poche miglia. il timoniere di turno con gli occhi fissi su quella luce intermittente sospesa a cento metri sul mare. Due lampi ogni dieci secondi. La durata dei lampi è leggermente diversa, ma il periodo è lo stesso di quello del Faro della Vittoria; chissè quante altre cose in comune hanno, Sansego e Trieste?

Piero Tassinari
(per gentile concessione dell'autore e del quotidiano Il Piccolo di Trieste, dove l'articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2007)